Musicoterapia e autismo

Pubblico qui un mio articolo estratto dalla rivista FILART, numero 2/2017, su Musicoterapia e autismo. Si tratta di un progetto svolto in due annualità con 4 bambini dai 10 ai 13 anni con diagnosi di autismo.

Con questo articolo vorrei sintetizzare il percorso svolto in due cicli annuali di sedute di musicoterapia con frequenza settimanale, che ho svolto con un bambino di 12 anni (di seguito B.) con diagnosi di autismo.
L’aumento della permanenza all’interno del setting ha costituito il dato più significativo, ma certamente non l’unico. Nel procedere del percorso ho redatto vari report con obiettivi graduali.
L’obiettivo è infatti centrale nel percorso, obiettivi che potremmo chiamare “micro- obiettivi”: non sorprende per esempio che una stereotipia, di frequente elemento che impedisce una comunicazione efficace, sia strutturata su gestualità e movimenti fini, non accentuati o particolarmente fastidiosi, ma che diventano reali impedimenti al rapporto con l’altro a causa della ripetitività ossessiva. Seguendo schemi di riferimento diversificati (Bonardi; Benenzon) ho cercato di strutturare l’intervento su tre tracce orientative che definisco “macro- obiettivi”: diminuzione della frequenza della stereotipia, incremento della permanenza e uso dello strumentario in modo appropriato. Quest’ultimo step è particolarmente difficile da raggiungere in tempi brevi, perché la comunicazione all’interno del setting dev’essere già a un livello tale da permettere un incremento significativo del tempo di permanenza e nel contempo una sintonizzazione parziale (Stern).
L’elemento fondamentale è l’imitazione: nel rispecchiare le sonorità corporee, vocali, cinetiche della persona si viene a creare un primo accoglimento che ha la funzione di rassicurare e facilitare le successive elaborazioni (Delalande). Senza questo primo momento di “gioco” non sarebbe stato possibile instaurare alcuna comunicazione.
Seguendo poi i movimenti e gli spostamenti nello spazio ho cercato di instaurare un primo incontro di sguardi: suonando un piccolo tamburello ho tenuto la struttura ritmica del movimento, accompagnando così i movimenti di B. A distanza di tre sedute B. ha preso una maraca e ha cominciato a suonare con piccoli gesti rotatori, stando fermo nello spazio. Questo “evento” è stato l’inizio del setting strettamente musicale: rispondendo con brevissimi incisi al tamburello abbiamo instaurato un primo dialogo sonoro che si è però interrotto dopo pochi secondi.
In questi momenti la frustrazione è decisamente alta perché alla soddisfazione iniziale segue la sgradevole sensazione di aver commesso un errore, motivo per cui il bambino non ha più continuato a suonare. In tal caso bisogna essere coscienti di creare una proiezione sul bambino delle paure che derivano da elementi narcisistici non risolti.

Il fatto di cambiare di frequente gli strumenti usati ha facilitato l’adattamento all’interno del setting: questo è stato un dato importante che ho tenuto presente nelle sedute successive. Ho altresì cercato di mantenere invariati lo spazio del setting e la modalità d’apertura dell’incontro: proponevo alcuni ascolti musicali, gli stessi per tutte le sedute. Questa scelta ha portato a una maggiore disponibilità perché B. sembrava a proprio agio, sembrava riconoscere la musica proposta e cercava quindi un contatto con me.
Il dialogo sonoro avveniva a ogni seduta ma con tempi differenti: all’incirca la durata era dai 2 minuti ai 10 minuti. Durante la stabilizzazione intorno ai 6/7 minuti ho proposto alcune parole cantate: B. ha iniziato a ripetere qualche parola. Non riuscendo a intonare la melodia proposta, ha iniziato a camminare nello spazio, ripetendo movimenti che avevamo “costruito” insieme durante le sedute precedenti, e ripetendo, nel contempo, alcune delle parole.
Dopo questo primo momento ho cercato di instaurare un altro dialogo sonoro, e B. ha scelto di sedersi su una sedia vicina alla mia. Sono restata seduta per qualche minuto, sempre cantando e suonando, poi mi sono interrotta: B. ha iniziato a suonare il tamburello che avevo in mano.
Questo gesto intenzionale e comunicativo è stato molto rilevante: ho quindi lavorato nelle sedute successive proprio su questa modalità di dialogo.
Questi brevi esempi di dialoghi musicali esemplificano il lavoro svolto. Dopo la prima annualità del percorso gli obiettivi stabiliti erano stati raggiunti: diminuzione delle stereotipie, adattamento al setting e incremento dell’attenzione. Nella seconda annualità si è cercato di consolidare gli obiettivi raggiunti, ma soprattutto di creare attorno a B. un ambiente di professionisti (docenti, docenti di sostegno, musicoterapisti, genitori) che fossero attenti e accoglienti, perché, senza il lavoro di equipe, ogni risultato con soggetti con sviluppo a-tipico diviene vano (Brutti- Parlani). Ho così proposto che anche i docenti, a rotazione, partecipassero alle sedute. Questa fase del progetto è stata molto proficua perché ha permesso ai docenti di approfondire la relazione con B. e avere una visione differente in merito alle sue modalità di comunicazione e ai suoi bisogni.

 

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